Serafino Marinosci (1869 – 1919): la Messa da Requiem del frate – musicista
Pubblicato su Il pensiero mediterraneo il 7 novembre 2021
Frate Serafino della Purità di Maria Santissima, al secolo Francesco Marinosci, nacque a Francavilla Fontana (BR) il 17 aprile del 1869 dove, in tenera età, fu avviato allo studio della musica nel Convento di Santa Maria della Croce dai maestri Trisolini per l’organo, Sarago per il violino e Malagnini-Cazzella per la composizione, quest’ultimo noto per essere stato allievo di Gaetano Donizetti. Aderendo inizialmente agli Alcantarini e dal 1897, in seguito alla promulgazione della bolla Felicitate quadam di Papa Leone XIII, all’Ordine dei Frati Minori, trascorse un anno da novizio presso il Convento della Madonna della Grazia in Galatone (LE), trasferito successivamente al San Pasquale in Taranto, poi al San Giacomo in Lecce ed infine al San Pasquale a Chiaia, in Napoli, dove continua i suoi studi musicali con maestri di elevata caratura, quali Camillo De Nardis, Paolo Serrao, Nicola D’Arienzo e Oronzo Mario Scarano. Qui in Napoli si spense il 21 novembre 1919, proprio nel giorno della vigilia della festa di Santa Cecilia, patrona della musica.
La sua produzione artistica fu incentrata sulla musica sacra liturgica, ma si dedicò anche alla composizione di musica salottiera molto in voga in quegli anni, realizzando un numero considerevole di brani strumentali ballabili e musicando una serie di romanze dalla spiccata vena melanconica, sempre di ottima fattura musicale ma oggi poco conosciute. Prediligendo le piccole forme, utilizzò un linguaggio musicale intimista e sentimentale dotato di grande immediatezza, sorprendente per la freschezza e la semplicità compositiva, quasi essenziale e mai banale, e per la capacità di suscitare forti emozioni anche nell’ascoltatore più esigente.
La Messa da Requiem è la messa per i defunti, così chiamata dalla prima parola del suo introito: Requiem aeternam dona eis, Domine, (“L’eterno riposo dona a loro, oh Signore”, ovvero la preghiera d’invocazione per i defunti).
Si articola in nove sezioni: Introito (Requiem), Kyrie, Graduale, Tratto, Sequenza (Dies irae), Offertorio, Sanctus et Benedictus, Agnus Dei, Communio (Lux aeterna). A queste solitamente i compositori nel musicarla hanno aggiunto il Libera me, Domine e In Paradisum che fanno parte dell’Ufficio della sepoltura che, di regola, avviene alla fine della messa.
Nella liturgia eucaristica della Chiesa cattolica, la Messa da Requiem è celebrata come messa esequiale o votiva, in occasione di anniversari e nel giorno del 2 novembre, data in cui la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti. Secondo la dottrina cattolica le messe in suffragio dei defunti che si trovano in Purgatorio possono abbreviare la loro permanenza di espiazione, a favore di un più celere passaggio al Paradiso.
La drammaticità di questo testo sacro, nella lunga tradizione che va dal Rinascimento ai giorni nostri, ha ispirato innumerevoli compositori che hanno creato dei capolavori musicali immortali e di altissimo livello.
Lontana dalla complessità architettonica della celebre composizione di W. A. Mozart o dalla monumentalità di quella di G. Verdi, la Messa da Requiem del Marinosci sembra quasi rispettare la regola francescana, adoperando un linguaggio musicale privo di fronzoli ornamentali o di superflui arricchimenti fini a sé stessi, tentando quasi di dare voce a quella povertà e a quell’essenzialismo al quale egli aveva consacrato la sua esistenza. Sono questi, infatti, gli elementi caratterizzanti il mondo sonoro che il nostro frate ci consegna, frutto della sua più intima religiosità unita alla cultura ottenuta dagli studi teologici compiuti. Una musica, la sua, che traspira profonda fede e che, sempre in stretta relazione con il testo, riesce a rivestire ogni singola parola di una solennità quasi sacra, cercando e trovando quel giusto equilibrio tra estro artistico personale e i dettami divulgati dal Cecilianesimo ed esplicitati nel Motu proprio Inter pastoralis officii sollicitudines di Papa Pio X il 22 novembre 1903.
Padre Serafino adottò con convinzione quelle indicazioni nella realizzazione della sua Messa, composta nel 1908 per due voci simili e organo, eliminando dalla sua penna ogni elemento che potesse rimandare al mondo del melodramma operistico che contaminava l’intero repertorio liturgico sacro già dalla seconda metà dell’800, orientandosi verso lo stile gregoriano e la polifonia cinquecentesca.
Abbandonò, dunque, quel lirismo donizettiano o belliniano che caratterizzava la sua celebre Via Crucis composta nel 1895 (clicca qui per gli spartiti), che gli aveva fatto valicare i confini non solo del suo convento ma anche quelli provinciali e regionali insieme a Le ultime sette parole di N.S.G.C. sulla Croce, approdando perfino nelle rinomate Basiliche partenopee e romane ed ottenendo ovunque lusinghieri consensi da parte di Vescovi, Cardinali e finanche dal Papa in persona, per fare posto ad un nuovo stile compositivo completamente al servizio della Chiesa ma che, allo stesso tempo, riusciva ancora una volta a giungere spedito al cuore dei fedeli oranti poiché ricco di fervente devozione e di quella dose di sentimento che avevano caratterizzato la sua produzione musicale fin dal primo esordio.
Dietro un apparente semplicità della linea melodica, si nasconde infatti una filigrana armonica ricercata che procede in stretto contatto con il significato del testo. Le quattro parti affidate all’organo si muovono in maniera sapiente e oculata, creando continuamente un grande pathos grazie anche all’utilizzo di frequenti cambi di tonalità, non solo ai toni vicini, ma anche a quelli lontani rispetto alla tonalità d’impianto, sperimentando modulazioni inusitate ma che all’orecchio risultano efficaci e ben riuscite, al pari della musica di don Lorenzo Perosi.
Padre Serafino sicuramente compose quest‘opera non come brano da eseguirsi in concerto ma per un uso adeguato alla liturgia e, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, la concepì in tonalità maggiore.
In queste pagine, infatti, ritroviamo una musica priva di quella vena melanconica che lo ha sempre contraddistinto, rimandandoci a quell’idea francescana di una morte semplice e discreta, libera dal peso dell’angoscia e dal dolore. Una morte, oseremmo dire, che guarda direttamente al Paradiso. Sono assenti, infatti, quelle ambientazioni cupe o drammaticamente spettrali tipiche di questo genere musicale, mentre prevale un’atmosfera di dolcezza che può essere concepita come un abbandono nelle braccia amorevoli del Padre celeste.
L’attacco iniziale risulta anche privo di qualsiasi preambolo strumentale, mentre l’agogica oscilla dal Lento con molta espressione dell’Agnus Dei all’Agitato del Dies irae, tema melodico, questo, che ritorna nel Rex tremendae, nel Lacrymosa e nel Dies illa del Libera me, Domine con la chiara volontà di voler creare un unicum dell’opera, superando la consuetudine di musicare una serie di brani autonomi ed indipendenti.
Dopo averlo rimandato per più di un anno per vari impedimenti, ho deciso di pubblicare in anastatica un originale a stampa della partitura della Messa da Requiem di Frate Serafino Marinosci, edita nel 1920 dalla casa editrice Raffaele Izzo di Napoli assieme ad altre composizioni dello stesso autore, con la ferma volontà di renderla più facilmente fruibile e di rivalutare, a poco più di cento anni dalla sua scomparsa, la figura di quel frate – musicista che con la sua arte ha segnato profondamente il repertorio sacro, liturgico e tradizionale dell’intero meridione d’Italia di fine ‘800 e dei primi decenni del ‘900.
L’originale a stampa da me posseduto, oltre ad essere contrassegnato con numerose indicazioni agogiche e con segni di espressione tipici di un professionista della musica, reca sul frontespizio la firma Rescigno, un cognome che fa subito balzare alla mente la figura di uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, Nicola Rescigno, nato a New York nel 1916 e morto a Viterbo nel 2008. Tutti piccoli ma significativi indizi che mi fanno fantasticare sul precedente proprietario dello spartito.
La Messa da Requiem che ripropongo è certamente un’opera di alto valore storico e musicale che apparentemente potrebbe non rispecchiare le esigenze di mercato di una casa editrice odierna ma che, sicuramente, non può mancare nella biblioteca personale degli studiosi del settore e degli appassionati di musica e di storia locale.